Il partito della Terza Repubblica
L’Aquila – (di Giuseppe Tagliente, foto) – Quel che continua a stupire ed a stupirmi della politica italiana è l’apparente inconsapevolezza dei suoi addetti circa l’imminente fine del sistema costruito nell’ultimo decennio degli anni Novanta e l’ostinazione che mostrano nel ritenere che sia possibile fermare quella che chiamano l’antipolitica (ma che invece è, come ho già scritto, soltanto il desiderio di altrapolitica) introducendo correttivi nel funzionamento dei partiti o delle istituzioni. Mi sembra incredibile, insomma, che non riescano a capire l’inutilità di proposte come quella sulla riduzione e sul controllo del rimborso elettorale o sul ricorso al meccanismo delle primarie per la selezione della dirigenza o anche sulla nuova legge elettorale e sul riconoscimento giuridico dei partiti rispetto ad una volontà popolare che va invece da tutt’altra parte reclamando la fine della cosiddetta Seconda Repubblica e la morte dei partiti che ne hanno diretto le sorti. Quando s’alza il vento del cambiamento non c’è nulla che possa arrestarlo e men che meno rimedi empirici, pannicelli caldi, salassi, pozioni o decotti a base di erbe officinali: occorrono soluzioni forti, decise, radicali, vere e proprie operazioni chirurgiche, come dimostra la Storia e come abbiamo visto anche nel 1993 quando risultarono di tutta evidenza inefficaci ed oltretutto incomprensibili ( e sbagliate) le soluzioni sperimentate sul letto di morte della Prima Repubblica. Ed oggi il vento soffia talmente forte contro il degrado morale, il malgoverno, la crisi economica e la disoccupazione che le vie d’uscita possono venire soltanto dall’esterno, ed in modo particolare da iniziative che abbiano la capacità di coinvolgere idealmente la gente in un processo di superamento generale ed organico dell’attuale sistema e di proporre nuovi modelli di funzionamento della politica, delle istituzioni e soprattutto dei partiti, i quali vanno rifondati, strutturalmente e forse anche concettualmente, ma non eliminati come l’esasperazione popolare magari vorrebbe in questo momento. Salvo che non si trovino altri strumenti di rappresentanza, che tuttavia non vedo all’orizzonte, il partito va ripensato, destrutturato, riconsiderato. Dovrà essere naturalmente qualcosa di diverso da ciò ch’è stato e da ciò che non era già più a seguito della caduta delle ideologie; della globalizzazione; della delegittimazione delle classi dirigenti per manifesta incapacità o per coinvolgimento negli scandali; del primato perduto dalla politica sull’economia e sulla finanza;della fine del parlamentarismo di stile classico seppellito sotto l’effetto delle nuove leggi elettorali e di un liderismo che non ha peraltro mai trovato dignità costituzionale. Per non definirlo soltanto a contrariis, ritengo che il partito nuovo da costruire, il partito della Terza Repubblica, debba in altri termini essere post-ideologico ma ancorato ad una visione e ad una concezione identitaria della vita e della società e ad una Etica pubblica; democratico e partecipativo nelle dinamiche interne; meritocratico nella scelta della dirigenza, leggero e non onnipresente nei Consigli d’amministrazione, negli ospedali, nelle banche, nelle università , nei gruppi editoriali; affidato al finanziamento dei suoi aderenti e non a quello pubblico. Dovrebbe avere possibilmente anche altre caratteristiche, ma mi fermo qui in attesa di un dibattito più ampio che tarda a vantaggio di pericolose suggestioni anarcoidi e di un sussulto da parte di una politica che appare purtroppo ancora distratta, assente o tutt’al più intenta ai soliti, stucchevoli rituali autoreferenziali.
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