Tre domande a Marcello Schillaci
- di Cristina Mosca -
Teramo – IL MAGGIO DELLE VIRTU’ TERAMANE – Marcello Schillaci, presidente dell’Art (Associazione Ristoratori Teramani dentro le mura), il 24 aprile ha annunciato in conferenza stampa a Teramo il ritorno del “Maggio delle Virtù teramane”. Quest’anno sono entrati nel progetto, che ha avuto inizio nel 2011, la Camera di Commercio di Teramo e l’istituto alberghiero “Di Poppa”. L’intento è fare delle Virtù, piatto tipico teramano di fresco inserimento nell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, un’attrattiva turistica non solo per il primo giorno di maggio ma durante tutto il mese. I ristoranti della provincia che aderiscono all’iniziativa, infatti, esporranno una vetrofania che testimonierà la possibilità di mangiare le Virtù anche durante i fine settimana. I ristoratori hanno ancora la possibilità di aderire (adesione volontaria e gratuita): http://www.te.camcom.it/show.jsp?page=47590. Nella foto, da sinistra: Salvatore Florimbi (Camera di Commercio Teramo), Giustino Di Carlantonio (presidente Camera di Commercio Teramo), Silvia Manetta (dirigente scolastico “Di Poppa” Teramo) e Marcello Schillaci (presidente ART)
Cosa rappresenta la stesura del disciplinare delle Virtù teramane (scaricabile anche dal sito della Camera di Commercio di Teramo)?
«Il piatto delle Virtù nasce nelle case, dalla dispensa: in teoria, ci si mette tutto quello che uno ha a disposizione e che rappresenta quello che rimane dell’inverno e quello che sta arrivando dell’estate. Ci sono contadini che abitano più vicino alla costa, ad esempio, e a cui è capitato di mettere anche del pesce, nelle Virtù. Il disciplinare nasce per tutelare l’origine di questo piatto, che a volte viene mistificato o fatto male: le Virtù sono ben diverse da un semplice minestrone, anche perché, come prima cosa, gli elementi si cucinano ognuno per conto proprio!»
Quali sono gli ingredienti di un piatto di Virtù?
«La tradizione prevede legumi freschi (piselli e fave) e legumi secchi (fagioli, lenticchie, cicerchia o ceci), verdure fresche e ortaggi di stagione, odori ed erbe aromatiche, scarti di maiale (prosciutto crudo, ossa, orecchie, cotenne e piedini), carne di manzo macinata, e vari formati di pasta di grano duro, fresca (“acqua e farina”) e all’uovo, a partire dalle zite per finire ai “tajulin” e ai maltagliati. Infine, naturalmente, va condita con olio extravergine di oliva e sale, farina e uovo. Questo è quanto stilato nel 2011 da un comitato composto da antropologi, ricercatori storici, esperti della cucina antica teramana come Alessandra Gasparroni, Daniela Di Ferdinando e Rosita Di Antonio, e capisaldi della ristorazione tradizionale come Elio e Paolo Pompa, così come rappresentanti della Camera di Commercio (Alfiero Barnabei), dell’A.r.s.s.a di Teramo (Marco Cipolletti e Gabriele Costantini) e degli organi di controllo (il difensore civico regionale Giuliano Grossi e il dirigente del Servizio igiene degli Alimenti e della nutrizione della Asl di Teramo Tommaso Migale). Faceva parte della commissione anche il compianto professore Roberto Pelillo».
Quanto è importante il coinvolgimento della scuola?
«Siamo felicissimi di aver trovato in Silvia Manetta dell’istituto alberghiero “Di Poppa” un esempio “illuminato” di dirigenza scolastica, che si trova d’accordo con noi sull’importanza di indirizzare l’educazione degli studenti verso la valorizzazione delle tipicità. In particolare, sabato 19 maggio quattro classi della scuola si confronteranno sui piatti tipici, in una gara che premierà l’impegno verso la tradizione enogastronomica teramana. È l’elemento trainante del turismo in Abruzzo: i giovani non possono permettersi di non saper fare le mazzarelle o le virtù».
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