Se la commozione è in percentuale

Muore in campo un giovane calciatore del Livorno di 25 anni. Muore in un incidente un giovanissimo calciatore di 16 anni, di Sante Marie, e i suoi organi vengono donati per la vita di altri. Due episodi che hanno commosso, coinvolto, l’opinione pubblica. Ma in diverse misure. Commozione in percentuale. Colpa dei mass media, del clamore di cronaca, della televisione in particolare. Di fronte ad una tragedia, chiunque riguardi, non è misurabile il dolore, e nessuno si permette di farlo. Ma, purtroppo, ci sono morti e morti: è la legge dell’informazione, è il basamento della comunicazione di massa. Alcuni casi fanno piangere più di altri.
Psicologi, sociologi, tuttologi proveranno a dare spiegazioni usando luoghi comuni, frasi fatte, sfoggi di sapere costruiti, in fondo, solo su opinioni e punti di vista. Specialmente quelli che, a gettone, fanno gli ospiti nelle trasmissioni tv più seguite. E spiegazioni potranno anche esserci, perchè tutto ciò che avviene ha una spiegazione. Nessuno potrà però giustificare le differenze tra un dolore e un altro. Differenza di percezione e di manifestazione del dolore. Per chi ama la vittima della tragedia, la sofferenza non è misurabile, ma intima e profonda. Dignitosa specie quando è silenziosa e appartata. Il circo mediatico, la fama o l’idolatria per certi personaggi – il calcio è la palestra di ogni idolatria, insieme con altri fenomeni di massa – a ben guardare offendono, amareggiano. Ma sono inevitabili, anche di fronte a due giovani vite perdute. Se muori e non sei nessuno, pochi o nessuno ti piangeranno. Rivolgiamo un composto pensiero ai due sportivi, ma non dimentichiamo gli altri, che se ne vanno senza che, quasi, nessuno se ne accorga. Almeno di fronte al sudario, cerchiamo di recuperare barlumi di umanità.