Dieci anni + 3


E’ del tutto evidente che L’Aquila non ha interesse a migliorarsi. Nessuno la costringe a non organizzarsi diversamente. Forse e’ giusto cosi’. In verita’ ci sono state, per fortuna, idee diverse che, con grande slancio, speravano nel sogno di un super organismo chiamato comunita’ aquilana che, prendendo spunto da una distruzione materiale e immateriale, prendesse atto dell’esistente, si desse degli obiettivi e procedesse in marcia verso gli stessi consapevole delle difficolta’ del cammino e del contesto globale.
In genere, per far cio’, il sistema nervoso deve essere in grado di fare l’alchimia di trasformare il pensiero in azione, a prescindere dalla forza di gravita’ generata da coloro che non vogliono cambiamenti di alcun tipo. Di tutto ciò bisogna prendere atto perché se non ne prendessimo atto si farebbe di nuovo un errore di analisi di contesto e le strategie di adattamento sarebbero inefficaci.
Parliamo di futuro e di ricostruzione. Non voglio rileggere gli editoriali Dieci anni+1 e Dieci anni+2 scritti sempre per Inabruzzo.com. Anche se non li ricordo li immagino. Mi conosco e purtroppo sono coerente. So quanto credo nel prossimo e come rimango male se le aspettative vengono deluse. Ora la voglia di esprimere dei pensieri in realtà è poca perché le energie e gli slanci propositivi iniziano a chiedere economia. Ma la testimonianza va lasciata. Allora mi viene in mente l’affresco di Andrea Orcagna “La poveraglia”, nel suo particolare del “Trionfo della morte” come sintesi della mia riflessione. Il tutto e’ rappresentato dagli sguardi vuoti di quei personaggi. Chi non l’avesse visto nella chiesa Santa Croce di Firenze effettui subito una ricerca su Google e contempli per un momento i particolari. Orcagna ci serve per essere consapevoli da cosa e da chi dobbiamo prendere le distanze e quanta strada dobbiamo ancora percorrere insieme per tornare ad essere una comunita’ bella e degna di essere vissuta.
Il pensiero vorrebbe che il corpo della comunita’ intera prendesse le sembianze di qualcosa di nuovo, di bello e di funzionale ad un benessere collettivo ma niente da fare, il pensiero non riesce a muovere il corpo altrimenti si cambierebbe in un batter d’occhio. Prevale ancora la vecchia direzione dove i quarantenni si definiscono giovani, dove nessuno intraprende senza i soldi della collettività e dove la paura di non lavorare mina la stessa generazione delle condizioni ideali per attrarre chi crea veramente lavoro.
I parrucconi, gli esibizionisti, gli uomini ponte a meta’ del guado e l’equivoco perenne dei cronisti trans sono come piombi pesantissimi legati alle caviglie dei tre quarti di una squadra di rugby o come la colla messa da un maniaco sui davanzali insieme a delle molliche per catturare gli uccellini, che impediscono  alla comunità’ di avere una prospettiva e che impediscono ad una citta’ di tornare a volare dopo essere precipitata nel disagio.
Ormai siamo disillusi dalle finte direzioni rivoluzionarie dei primi mesi, delusi dai cattivi maestri che predicano il cambiamento ma che poi non applicano nel proprio orticello, abbiamo il terrore che il sistema gelatinoso sia quasi e ormai nelle condizioni di partenza pre terremoto con il vantaggio di aver resistito in non calanche, giuridicamente, politicamente e moralmente dopo aver gestito trasversalmente il territorio per venti anni, fino al 5 aprile 2009, ingessandolo e togliendogli un’anima imprenditoriale liberale. Nonostante le inchieste ed i rinvii a giudizio per vari motivi non e’ saltata neanche una poltrona . Anzi. E’ stato permesso, trasversalmente, alle stesse persone di gestire il post terremoto inscenando un finto teatrino politico con tanto di codazzi filo anarchici e folcloristici, tanto per ipnotizzare e distrarre le energie piu’ giovani e lucide.
La questione e’ veramente complessa ed in molti, compresi eminenti chiacchieroni pre e post sisma, capi bastone di quartiere e benemeriti, si sono guardati bene dal dare un contributo quando serviva un contributo per ribaltare in meglio un destino atroce.
L’ignavia di Don Abbondio si e’ manifestata in tutta la sua drammaticità. Hanno avuto il tempo di fare dei film e delle fiction. Sono stati scoperti dei talenti in tutti i campi e date benemerenze a tutte le pecorelle che si sono donate alla collettivita’ dimenticando l’insegnamento evangelico che intima di nascondere alla mano sinistra quello che fa la mano destra. Sono arrivati i saggi. C’e’ stata addirittura l’illusione di avere un evento mediatico globale come il G8. Peccato che fosse tutto noleggiato comprese le posate per i pasti e nulla e’ rimasto in citta’. Le opportunita’ di rinascita andavano colte nei primi 6 mesi. Andavano fatte delle richieste vitali quando il mondo guardava e poteva giudicare.
Ma nessuno ha voluto aggregare veramente la comunità . Nessuno ha dato la direzione utile per il lungo periodo. Secondo una regia inquinata, le questioni non andavano affrontate e non vanno affrontate per evitare che emergano le incompetenze e le incompatibilita’. Si e’ iniziato con il segreto di stato. Si e’ passati subito alle censure. Poi si e’ passati alle delegittimazioni e infine al cinismo politico che ha fatto chiamare il terremoto dell’Aquila, terremoto d’Abruzzo per motivi economici che stavano bene all’una e all’altra parte. Tutti zitti. Tutto legale ma tutto non bello eticamente se fatto mentre una citta’ era colpita a morte e quindi frastornata. Una vergogna storica. Tutti zitti.
Ogni tanto si organizza un concerto di musica classica tanto per sembrare personcine acculturate. Ma ora credo che vada lanciato il segnale di evacuare una cultura che sta facendo affondare la citta’. E’ veramente necessario che ognuno pensi al proprio interesse senza riempirsi la bocca con un finto e retorico interesse collettivo mentre in pochi saccheggiano.
Basta con il coro dei gargarismi. Le mascherine che dicono armiamoci e partite sono senza veli. A differenza di quanto pensavo fino a pochi mesi fa ritengo che solo perseguendo un sano interesse personale si potrà fare il bene collettivo e si potrà ricostruire la città . Alla fine emergera’ il bene collettivo senza ipocrisia. Quello vero e pulito. Ci saranno ingiustizie che si sarebbero potute evitare con un super organismo coeso e con dei sani principi etici ben saldi fra i rappresentanti della comunita’ e delle categorie. Prendiamo atto che non ci sono e non ci saranno in tempo utile questi presupposti. Nonostante cio’ la natura chiama alla rinascita. Anche i pini crescono sui muri dove c’e’ un po di terra portata dal vento li dove il terreno sottostante e’ una lastra di pietra senza fessure.
Il tempo della vita e’ una risorsa scarsa e non si puo’ piu’ aspettare o sacrificare il nostro tempo al servizio di chi non lo merita o di chi lo utilizza per fini non nobili. Allora si parte. Si ricostruisce la citta’ imperfetta ma senza ipocrisia, consapevoli che una gran parte delle risorse statali verranno assorbite da un inutile sistema gelatinoso locale carico di associazioni e benefattori a contratto. Tutti hanno famiglia. In questo momento storico, l’Italia non puo’ chiedere a noi di risolvere i problemi dei massimi sistemi ed in verita’ non ce lo ha mai chiesto. Secondo me non ne saremmo capaci non per incompetenza ma perché abbiamo gia’ poco tempo.
Gli aquilani che vogliono rimanere sul territorio con un lavoro, da ora in poi, penseranno ai propri interessi e si ricostruiranno le case senza pensare a far sorgere il sole ad ovest piuttosto che ad est. Speriamo che nel frattempo gli italiani, consapevoli che stiamo utilizzando miliardi di euro per un fine nobile come quello della ricostruzione di una citta’ d’arte, facciano le leggi idonee a contrastare la corruzione e ad evitare il peculato da parte delle strutture della pubblica amministrazione locale. Dopo aver perso 3 anni di vita, noi aquilani non vogliamo piu’ perdere tempo dietro agli speculatori e agli approfittatori mediatici. Ne girano molti in citta’ osannati da chi con il terremoto ha fatto fortuna o si e’ creato una qualche identita’.
La temporalita’ e’ l’essenza della vita. Da ora in poi parte la nostra primavera e parafrasando Borges: “il tempo e’ la sostanza di cui sono fatto. Il tempo e’ un fiume  che mi trascina ma io sono il fiume; e’ una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; e’ un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco.” Il resto lo farà la natura. Con il tempo, ma lo fara’ lasciando ad ognuno la discrezione di essere ciò che si vuole singolarmente e come super organismo.



08 Aprile 2012

Pier Paolo Visione  -  Dottore Commercialista e Revisore legale in L’Aquila

Categoria : Editoriale
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