Nonostante tutto, c’è speranza


L’Aquila – “Quello di quest’anno sarà senz’altro un anniversario meno mediatico, ma sarà ugualmente molto intenso a livello emotivo e spirituale”. Ad affermarlo è don Claudio Tracanna, foto, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali dell’arcidiocesi di L’Aquila e del quindicinale diocesano “Vola”, intervistato da Michele Luppi, inviato Sir a L’Aquila. “Quest’anno – spiega – le celebrazioni per il terzo anniversario del terremoto, il prossimo 6 aprile, cadranno nel cuore del triduo Pasquale, al Venerdì Santo, che oltre a una grande valenza religiosa, ha per L’Aquila una forte connotazione popolare: proprio in quell’occasione, tre anni fa, furono celebrati i funerali di Stato delle vittime del sisma”. Le celebrazioni si concentreranno in particolare nella notte tra il 5 e il 6 aprile. Si inizierà alle 21.30 nella basilica di Collemaggio con la Messa in Coena Domini celebrata dall’arcivescovo Giuseppe Molinari. A seguire la parte civile della commemorazione con la fiaccolata per le vie del centro storico, in gran parte ancora chiuso, fino a piazza Duomo dove la campana della chiesa di Santa Maria del Suffragio scandirà i 311 rintocchi (309 per le vittime del terremoto e due per le giovani che lo scorso anno morirono in un incidente proprio di ritorno dalla fiaccolata). “Nella giornata di venerdì – continua il direttore – ci sarà, invece, la tradizionale processione del Cristo morto per le strade del centro. Ogni anno vengono scelte alcune associazioni invitate ad accompagnare la statua: quest’anno è stato chiesto ai parenti delle vittime. Sarà un altro modo per ricordare, anche se è difficile dimenticare vivendo quotidianamente i disagi del post-sisma”.

—Don Tracanna, a distanza di tre anni qual è la “normalità” di L’Aquila?
—“È quella che i cittadini hanno cercato di costruire con forza e tenacia. Più che una riorganizzazione della vita, pianificata e studiata a tavolino dalle Istituzioni, quella in cui viviamo è una realtà nata spontaneamente dalla volontà della gente di non perdersi. Nonostante lo sradicamento di molti dalle proprie case e comunità, la mancanza di luoghi d’incontro e punti di riferimento, i cittadini hanno reagito trasformando quello che c’è, dai bar ai centri commerciali, dalle strade agli spazi pubblici fino alle parrocchie, in occasioni d’incontro. Fin dai primi mesi come Chiesa abbiamo sottolineato la necessità di dotare i nuovi centri, come i quartieri del progetto CASE o i MAP (Moduli Abitativi Provvisori), di spazi di aggregazione, ma è stato fatto poco. Una situazione in cui le persone rischiano di sentirsi sole, specialmente gli anziani”.

—Nonostante la recente ordinanza per la ricostruzione promossa dal ministro Barca la situazione nei centri storici è ancora difficile. Poco è stato fatto, soprattutto per la cosiddetta “ricostruzione pesante” e i tempi rischiano di allungarsi ancora?
—“Gli aquilani sono oggi consapevoli di come la ricostruzione sarà lenta e, quindi, pur continuando a lavorare, hanno ormai accettato la necessità di ricostruirsi un’altra vita. Questo non significa che siano rassegnati, ma che l’emotività e, per alcuni persino la rabbia, hanno lasciato il posto alla consapevolezza”.

—Quali sono i principali problemi del capoluogo e dei comuni del cosiddetto “cratere”?
—“Il problema più grande è la mancanza di luoghi. Non solo luoghi di ritrovo e socializzazione, ma anche luoghi di lavoro. La crisi economica e occupazionale de L’Aquila risale a prima del terremoto ma, in questi tre anni, quello che è stato fatto non è andato nella direzione di invertire questa tendenza. Ho il grande timore che la ricostruzione non sia per i giovani”.

—In che senso?
—“L’Aquila è una realtà giovane, una città universitaria, ma sempre più spesso i nostri giovani decidono di andare via, pur con tristezza, perché non vedono un futuro qui. Abbiamo raccontato alcune di queste storie sul numero speciale di “Vola” che uscirà proprio in occasione del 6 aprile”.

—Riguardando a questi tre anni riesce a trovare qualcosa di positivo, una luce, pur tra i disagi e il dolore?
—“La cosa più bella è stata senz’altro la tenacia della gente e, parlando da parroco, la loro fede. Hanno resistito, nonostante tutto, e continuano a resistere. Guardando all’esterno non posso che pensare ai tanti volontari. Non solo a quelli venuti nei primi mesi, ma a quanti continuano a darci la loro disponibilità per venire a svolgere campi di servizio nelle nostre comunità”.

—Tra i frutti nati dal terremoto c’è anche “Vola” nato in una tendopoli. Parlava di un numero speciale in uscita: come continua il vostro lavoro?
—“Abbiamo realizzato un numero che racconta storie legate al terremoto. Parleremo della vita parrocchie e di come è cambiata per adattarsi alla nuova realtà, faremo il punto sulla situazione dei beni culturali e racconteremo iniziative realizzate nel post-sisma, dando ampio spazio a quanto fatto dalla Caritas in questi anni. Questo vuole essere un modo per continuare il nostro servizio alla Chiesa. Una voce che sa anche essere di denuncia, ma senza creare polemiche, cercando di servire la verità. Grazie alla tenacia dei giovani della redazione cerchiamo di far vedere un po’ di luce a tanta gente che brancola ancora nel buio”.


01 Aprile 2012

Categoria : Le Interviste
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