“Ci durmirristi tu co ‘ste scosse de notte?”
L’Aquila – In città, questa mattina, il cronista in giro in cerca di case A (cioè in teoria, secondo la Protezione civile, abitabili subito) e di aquilani (sempre in teoria) disposti ad obbedire al diktat: rientrate e lasciate di alberghi sulla costa.
Giriamo a lungo, attingiamo informazioni, consultiamo internet, spulciamo elenchi e classificazioni, cerchiamo di entrare in possesso di elementi certi per andare a dare un’occhiata. Mica facile. Se provate a telefonare o a recarvi nelle sedi “competenti” e ponete domande precise, non avrete risposte altrettanto precise. Nessuno è sicuro di nulla, bisogna domandare a quello e quell’altro, magari riempire un modulo (l’Italia ne è piena, figuriamoci l’emergenza terremoto): e così la mattinata si consuma, anche perché per muoversi da un posto all’altro a L’Aquila occorrono tempi smisurati e un’infinita dose di tolleranza e pazienza.
Ma c’è il terremoto, e di pazienza ne abbiamo portata tantissima con noi. Comprensione. Le usiamo tutte. Alla fine, arriviamo all’ingresso di un edificio di cinque piani (promesso a tutti, non vi diremo dov’è né faremo nomi, parola d’onore ripetuta cento volte) che è “A”, accanto ad un altro (recente) che sarebbe “A”, se le parti basse non fossero “E”. Quattro macchine schiacciate dai ruderi fanno pessima mostra nella zona, accrescendone lo squallore. Questo secondo edificio è lungo, ha cinque numeri civici, con una decina di appartamenti ciascuno. L’ultimo civico, esposto a nord, poggia su strutture vistosamente compromesse e crepate: è sicuramente “E”.
Chi è arrivato per rientrare a casa? Lo chiediamo ad un uomo burbero in canottiera di lana pesante, che ce l’ha con tutti a cominciare dai giornalisti “leccaculi, bugiardi, avvoltoi”. La premessa non è delle migliori, temiamo il peggio, poi ci ordinano di far sparire la fotocamera “sennò ti prendi una sassata sulla macchina”. Obbediamo, di sassate ne abbiamo già prese dal terremoto.
La cronaca della giornata è semplice. Nel palazzo “A”, 12 appartamenti, non rientra nessuno: “Bisogna fare i lavori, il gas ancora non lo riportano, l’acqua a e viene, e poi la strada per arrivare qui è fiancheggiata da un lungo muro crepato e inclinato. Pochissime luci di notte. Non ci passerà nessuno”. Ma il problema è un altro: “Ci vorristi durmì tu, co ‘ste scosse che non finisciu mai?”. Domanda che non fa una piega, alla quale non sapremmo rispondere, e non rispondiamo.
“Qui finisce” pensiamo “che la colpa è del cronista e se la prendono con lui…”.
Alla porta del palazzo accanto, quello lungo, ci sono tre persone che dall’espressione ci sembrano propense a parlare, se giuriamo di non fare foto né tantomeno nomi nell’articolo. Giuriamo. Una donna che somiglierebbe a Elena Ricci, secondo le sue amiche, subito ci investe come se avessimo la faccia di Cialente o di Bertolaso: “Lo sa lei che qui gli appartamenti non hanno crepe, ma lo scantinato e gli altri locali bassi sono fortemente lesionati? Lo sa lei che è da pazzi rientrare in una casa che si appoggia su locali lesionati e minacciosi?”. E poi come conciliare diversi numeri civici “A” con quello adiacente ad uno di essi, sicuramente “E “? Nessuno è rientrato e nessuno, per ora , rientrerà. Un flop, ci pare, questa perentoria ordinanza della Protezione civile: forse da rivedere. Aspetteremo cosa accadrà nei prossimi giorni, sperando che una via d’uscita si trovi. E soprattutto che lo sciame si esaurisca.
(Nelle foto Col: Sopra, quattro auto schiacciate il 6 aprile riposano per sempre ai piedi di un edificio “A”. Sotto: il traffico caotico, nervoso, incessante che paralizza la città per l’intera giornata).
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