Sul piano di ricostruzione di Paganica
L’Aquila – Claudio Panone ci invia le sue osservazioni al piano di ricostruzione di Paganica.
“Per quanto riguarda la sicurezza sismica nessuna ipotesi di ricostruzione può ignorare la prevenzione: la quota di rischio che non può essere risolta con i piani urbanistici costituisce il principale contenuto delle azioni di protezione civile direttamente volte a perseguire la mitigazione del rischio. Due devono essere infatti gli importanti elementi della ricostruzione post sisma:
Recupero fisico, sociale e funzionale del centro storico
Incremento della sicurezza per gli abitanti
Dovremo ricostruire il nostro centro storico tenendo al primo posto la sicurezza di chi poi ci dovrà tornare. Non possiamo continuare a sbagliare! Non possiamo commettere gli stessi errori del passato quando discutibili scelte urbanistiche hanno permesso di costruire e/o ricostruire anche con errate modalità, nei posti meno idonei. E obbligatorio tener conto della microzonazione effettuata nel nostro territorio dopo il sisma che ha messo in rilievo criticità geologiche in numerose zone del centro storico, oltre alla evidente faglia che ha prodotto il disastroso sisma. E’ necessario pervenire ad una conoscenza più approfondita delle caratteristiche relative al comportamento del suolo in occasione di un evento sismico. Non è possibile intervenire nella aree interessate dalla faglia e dalle fratture parallele alla stessa con l’allargamento delle aree brevi ricostruendo gli aggregati così come erano. In quelle aree, per la sicurezza dei cittadini, sarà necessario evitare la ricostruzione degli edifici secondo le sagome e le caratteristiche preesistenti oppure ricostruire con criteri tecnici adeguati. C’è bisogno di un miglioramento strutturale attraverso la riconfigurazione senza aumento delle sopraelevazioni disarmoniche. C’è bisogno della demolizione delle sopraelevazioni incompatibili con l’assetto strutturale. C’è bisogno del ripristino della sagoma originaria delle coperture. Queste determinazioni potranno essere adottate solo da un piano organico di ricostruzione. C’è sicuramente, quindi, bisogno di un piano di rigenerazione urbana e di sicurezza sismica del centro storico che da un lato si occupi del mantenimento della struttura urbanistica, dall’altro della mitigazione del rischio e cioè con il recupero fisico, sociale e funzionale del centro storico, ci sia contemporaneamente l’incremento della sicurezza per gli abitanti e le loro attività. C’è bisogno di evitare lo spopolamento del centro per la temuta insicurezza, di attivare la produzione sociale del paesaggio urbano condiviso dai cittadini, di recuperare il patrimonio identificativo delle tradizioni, della civiltà contadina e della propria storia culturale, di risarcire le ferite delle porzioni di territorio gravemente danneggiate dal terremoto, ma nello stesso tempo di individuare scenari di trasformazione per le aree maggiormente colpite dal sisma e prive di valore storico-architettonico necessari per consentire un sistema di percorsi e di spazi utili per la sicurezza. C’è bisogno di interventi di progettazione, riconfigurazione e riqualificazione finalizzati a trasformare spazi pubblici ( ed anche privati) in spazi attrezzati attraverso l’introduzione di nuovi elementi di arredo (fioriere, panchine, oggetti di scultura, alberature, ecc.). C’è bisogno della progettazione di spazi verdi di margine su cui promuovere interventi di riqualificazione per realizzare “luoghi sicuri” in fase di emergenza sismica. C’è bisogno della progettazione finalizzata a trasformare spazi pubblici (ed anche privati) in spazi attrezzati per parcheggi onde eliminare il pericoloso intasamento delle vie del centro storico. L’opportunità presentatasi dovrà essere utilizzata per migliorare la vivibilità, la socialità e dotare le abitazioni anche di quei supporti oggi indispensabili. Dovrà essere utilizzata anche per migliorare la viabilità esistente sia da un punto di vista della sicurezza (accesso e vie di fuga in caso di calamità) sia dal punto di vista urbanistico nella realizzazione di percorsi che aggreghino gli abitanti. Per il miglioramento urbanistico si deve tener conto dello spopolamento precedente il sisma che ha procurato un notevole abbandono di gran parte del centro storico con conseguente degrado degli edifici non abitati. Ricostruire con aggregati senza un piano organico significherà ricostruire due o tre prime case per aggregato, lasciare forse solo con una riparazione strutturale tutti gli altri immobili e riavere nuovamente un centro quasi disabitato. E’ necessario utilizzare questa unica opportunità purtroppo fornitaci dal sisma ed evitare di spendere risorse pubbliche per ricostruire senza un futuro ipotetico utilizzo (vedasi gli esempi del Belice e dell’Irpinia e Umbria i paesi di Poggioreale, Salemi, Salaparuta, Melito, nonché Nocera Umbra), ricostruiti, ma ancora quasi disabitati.
Per i sottoservizi il discorso si complica. Quelli esistenti già obsoleti e carenti in tutte le zone del centro, non possono essere ritenuti idonei per soddisfare le richieste di chi abiterà il centro. Impianti fognari, illuminazione, forza motrice, acqua, reti telefoniche, riscaldamento sono per intero da progettare e realizzare in funzione di come verrà, complessivamente, ricostruito il centro. E tutto ciò non si può fare in maniera semplicistica con gli aggregati senza studi preliminari dell’intero centro. Inoltre, secondo la normativa sono stati fissati i termini per l’esecuzione dei progetti degli aggregati: i tempi prescrizionali posti determineranno per i tecnici la progettazione di interventi affrettati che porteranno a cantieri e future abitazioni non sicure. Il termine prescrizionale determinerà fretta, cattive progettazioni anche perché le varie Amministrazioni non hanno fissato dei limiti massimi di incarichi progettuali per ogni professionista.
La linea di intervento, attraverso gli “aggregati”, scelta dall’ Amministrazione, all’interno di un centro storico distrutto , dove le macerie di un aggregato invadono i “confini” di quello a fianco, presenta notevoli problemi di funzionalità di intervento che portano ad un inevitabile rallentamento dei lavori in modo da prefigurare scenari, non auspicabili, come quelli del Belice: gli aggregati sono riposti l’uno accanto all’altro, divisi solo da un vicolo stretto che separa le mura portanti di un aggregato da quelle dell’altro, oppure l’uno di fronte all’altro, disgiunti solo da una strada un po’ più grande che li attraversa. Se i lavori di ricostruzione dovessero davvero rispettare questa divisione in aggregati, quale aggregato partirebbe per primo? E’ impensabile che tutti gli aggregati si adoperino per partire contemporaneamente e ognuno per conto proprio: un’impalcatura ostruirebbe il vicolo che divide un aggregato dall’altro e bloccherebbe i lavori sull’aggregato vicino almeno fino a quando quest’impalcatura non sarà più necessaria. Ci vorranno anni perché nell’aggregato a fianco comincino i lavori! Consideriamo poi le macerie. Quando si procederà allo sgombero delle macerie all’interno di un singolo aggregato si troveranno macerie appartenenti all’aggregato a fianco, e persino il semplice ingresso con i macchinari per operare sull’aggregato richiederebbe almeno un intervento di messa in sicurezza che, volente o nolente, dovrà coinvolgere gli abitanti dell’aggregato vicino. E’ anche per questo motivo, oltre che per la sicurezza, necessario individuare un piano di intervento unitario e simultaneo (Ambito edilizio unitario funzionale) identificato secondo quelle che l’originario piano urbanistico definisce come zone A, che si mostra, per l’Amministrazione ed il cittadino, sicuramente più funzionale e più veloce, oltre che più economico.
Ciò che è stato stabilito non è certamente la volontà della maggior parte della popolazione: la popolazione si è mostrata favorevole alle proposte fatte da esperti sul tema della ricostruzione, nei vari incontri organizzati a Paganica, con presupposti, indirizzi e determinazioni completamente diversi.
Ed ancora, l’avallo alla proposta dell’Amministrazione è forse avvenuto da parte di alcuni tecnici che non rappresentano l’intero mondo delle professioni tecniche locali e da rappresentanti dei costruttori che anch’essi non rappresentano l’intero mondo imprenditoriale edilizio locale. E’mortificante che per scelte così importanti non sono mai stati sentiti i cittadini paganichesi che dovrebbero invece essere gli attori principali della ricostruzione, come invece è stato permesso ai cittadini di qualche altro centro dello stesso Comune di L’Aquila.
Facciamo in modo di ricostruire in modo adeguato, non corriamo il rischio di lasciare delle trappole ai nostri eredi! Il nostro territorio ha un’ elevata probabilità di eventi sismici poiché numerose sono le strutture sismogenetiche che interessano l’aquilano. Impediamo che la ricostruzione sia un affare per qualcuno ma sia un’impellente esigenza per gli abitanti. Ricostruiamo un centro vivibile, sicuro e non un paese fantasma, una Pompei del terzo millennio!”.
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