Afferri la mano tesa a salvarti
Da ragazzino, il vostro cronista scivolò lungo un sentiero nell’orrido baratro sotto il maestoso ponte di Caramanico Terme. Si aggrappò d’istinto con una mano ad uno spinoso, ma forte cespuglio. E lì rimase appeso. Non sarebbe qui a scrivere se qualcuno non gli avesse teso una mano tirandolo su con forza. C’erano alcune persone, e non seppe, nè saprà mai, di chi era la mano che lo salvò.
Una piccola parabola per dire che, se hai bisogno, afferri la mano, non sai di chi è. L’Aquila sta morendo, e domani il premier Monti vedrà con i suoi occhi com’è ridotto il centro, il cuore della città . Un vitreo scenario di devastazione, uno sbriciolamento tragico che dura da tre anni. Ed è com’era il 6 aprile 2009 nella più livida delle albe, mentre si raccoglievano morti e feriti, ululavano sirene, piangevano persone, fuggivano superstiti, crollava una vita ma non ne cominciava un’altra. Che ancora non ricomincia, e siamo nel 2012.
Da Monti aspettiamo una mano forte e decisa, come quella che salvò il ragazzino che precipitava nel baratro verde e umido di acque spumeggianti. Il premier è uomo algido, distaccato, nemico di retorica e fanfaluche da politicante. Sa quel che vuole e che gli chiedono, sta tentando di farlo, ha prodotto dei risultati. Finito il suo compito, tornerà ai libri, ai conti, alle aule universitarie. Un tecnico ha più cervello che cuore, è razionale, concreto, vive con i piedi per terra. Vedere cos’è una città morta toccherà tuttavia anche il suo cuore. L’Aquila gli chiede soltanto il diritto di esistere. Con dignità . Non solo soldi, non solo ordinanze e regole, numeri e carte, o meglio accessi via internet. Gli chiede anche un po’ di affetto e calore umano, defedata dal vociare nefasto della politica. E’ mezzanotte, prof. Monti.
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