Lucio, l’aquilanità migliore


Lucio Serripierro incarnava, spilungone con la barbetta da moschettiere, l’aquilanità migliore: battuta pronta, dialetto d’altri tempi, ironia come regola di vita, eloquio teatrale e guizzante. In cuore uno sterminato amore per la sua città, che lo aveva isolato alla Villetta del Gran Sasso in un camping gestito con calore. Se qualcuno rimaneva in difficoltà nella neve, lui partiva con una preistorica ma inarrestabile Land Rover. Poi erano bicchieri di vino di fronte al camino acceso, e storie infinite. Spesso, qualche racconto di amarezza per l’indifferenza dei politici al suo sforzo di arricchire il turismo ricettivo. Mai malanimo, una caterva di ricordi di una città che già tanti anni fa non esisteva più. Pezzi sfusi del “prima”.
Lucio era stato un attore, un cabarettista a modo suo, uno sfegatato fan del rugby, un personaggio che dava a tutti del tu. Conosceva più aquilani di ogni aquilano.Che fossero in città o chi sa dove nel mondo. Sapeva cose, storie, aveva vissuto la scomparsa comunità cittadina. A chiunque, dopo un po’ con lui, poteva sembrare di averlo sempre conosciuto. Se n’è andato, dopo aver vissuto – chi sa con quanto dolore – la caduta della sua città squassata dal terremoto. Una ferita che non avrebbe saputo rimarginare. Svanisce un’epoca. Siamo tutti un po’ più soli a ricordare, a tentare di raccontare i tempi di una volta. Convinti che sia sempre più difficile, forse inutile.



09 Marzo 2012

Gianfranco Colacito  -  Direttore InAbruzzo.com - giancolacito@yahoo.it

Categoria : Editoriale
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