Oscar-nostalgia
(di Carlo Di Stanislao) – Molte le star malvestite al Kodak Theatre ieri sera, con in testa Gwynet Paltrow, che ha superato, quanto a cattivo gusto, la stessa Helena Bonham Carter, compagna di Tim Burton, spesso additata per il suo stile a cavallo tra il gotico e il carnascialesco
Forse i momenti migliori ce li hanno regalati le due coppie di presentatori (Emma Stone e Ben Stiller, Will Ferrell e Zach Galifianakis), oltre a Billy Crystal, con la parodia introduttiva; perché tutto il resto si è mosso senza scosse e secondo copione.
“Hugo Cabret”, che ha vinto anche l’Oscar per il miglior montaggio sonoro, realizzato da Philip Stockton e Eugene Gearty e quello per gli effetti speciali, con Rob Legato, Joss Williams, Ben Grossmann e Alex Henning, ha regalato all’Italia l’unico Oscar 2012, il terzo delle coppia di scenografi Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, perdendo però nella competizione per i premi importanti (miglior film e migliore regia), andati entrambi alla vera rivelazione dell’anno “The Artist” di Michel Hazanavicius, assieme a quelli per il miglior attore protagonista: Jean Dujardin, che ha spazzato via i bellissimi Clooney e Brad Pitt e per la colonna sonora.
La vera regina della serata è stata Meryl Streep, che ha conquistato la statuetta per il ruolo di Margaret Thatcher in “The Iron Lady” ed a 62 anni, sfoderato una classe ed uno charme davvero inossidabili.
Cristopher Plummer, 82 anni, cioè due soli in meno degli Oscar, ha vinto come migliore attore non protagonista per “The Beginner”, mentre il premio per la migliore sceneggiatura originale è andato a Woody Allen, per il suo “Midnight in Paris”.
In una serata in cui hanno primeggiato due film che sono due piccoli-grandi omaggi al cinema, a far parlare dei “Brangelina”, ultime punte di uno star system in ristrutturazione, ci ha pensato la Jolie, fasciata in un abito nero con un vertiginoso spacco che le lasciava scoperta la gamba destra al punto da mandare in tilt anche il rodatissimo presentatore della serata e superare in “osata sensualità” il “lepidottero” nostrano della Belen. E questo nonostante si dica sia di nuovo incinta.
Tornando ai premi a “Paradiso amaro” di Alexander Payne è andato quello per la migliore sceneggiatura non originale, come miglior film in lingua straniera ha trionfato l’iraniano “A Separation” e come miglior film d’animazione “Rango” di Gore Verbinski. Infine, “Millennium – Uomini che odiano le donne” si è portato a casa il premio per il montaggio.
Niente da fare per l’altro italiano in gara, Enrico Casarosa, che era candidato con il corto d’animazione “La Luna”.
Insomma tutto come previsto, con una vittoria del cinema-cinema, che sa inventare ed innovare, ripercorrendo il suo passato.
Dal bianco e nero con muto di “The Artist”, al 3D di “Hugo Cabret”, vince il cinema fatto di spettacolo avvincente, in cui la riflessione non va a detrimento della storia e dei suoi sviluppi.
Insomma, l’84° edizione dei premi della Accademy, ottimamente condotta (e per la nona volta) da Billy Cristal, è stata tutta all’insegna della nostalgia, anche per i premi minori, come ad esempio quello a Meryl Octavia Spencer, attrice non protagonista di “Help”.
Per trovare un film sul presente ci si è dovuto spostare in Iran, con il magnifico Una separazione, segno che negli Usa il presente si teme e si preferisce grandemente sognare un ritorno ai valori e ai sogni del passato.
Le due pellicole con i premi principali, infatti, sono dichiarazioni d’amore nei confronti della settima arte, del “cinema nel cinema”: un filone tradizionale almeno quanto quello del teatro nel teatro, con una lunga storia piena di esempi celebri, a cominciare dal regista russo Dziga Vertov, l’autore del Cineocchio (1924) fino a Giuseppe Tornatore con il suo Nuovo Cinema Paradiso (1988), pasando per Effetto notte di Truffeaut (1973).
Come ha commentato il sempre acuto Goffredo Fofi su Lettera 43.it, anche ieri agli Oscar, si è visto come il cinema, come mezzo di comunicazione di massa, sia ormai secondario: un residuo del 900, una specie di memoria di Nonna Speranza.
E sono pochi i registi che hanno forza e voglia di raccontare la realtà ed il presente come, in Italia, Michelangelo Frammartino (autore di Le quattro volte), Andrea Segre (il suo ultimo film è Io sono lì, e racconta integrazione e lavoro attraverso storie di immigrazione) o Pietro Marcello, ex portiere di notte e autore de La bocca del lupo.
Sono registi come questi o come Aureliamo Amadei (che col suo “Venti sigarette” sarà ospite dell’Istituto Cinematografico Lanterna Magica de L’Aquila, mercoledì 29, alla Carispaq, con inizio alle 10), che fanno sperare in un cinema che non sia solo fabbrica di sogni planetari (e nostalgie) per il consumo, capace di confrontarsi col presente e di sporcarsi le mani con la realtà.
Anche se, secondo una certa vague di intellettuali di sinistra, The Artist e il suo protagonista in qualche modo possono essere uno specchio dei nostri tempi, questo atteggiamento rischia, se esclusivo, per creare una retorica del passato ed una esaltazione per il futuro, che sono, in fondo, due modi di non incontrare la realtà, che invece di storie e spunti ne ha a iosa da offrire.
Debbo comunque dire, per onestà intellettuale, che non sono un appassionato del cinema di denuncia e, con tutto il rispetto per coloro che lo fanno, non mi sento affatto portato verso questa forma narrativa.
Ho talvolta la sensazione che questo tipo di cinema cada in trappole ideologiche, letture forzate e univoche. O, peggio ancora, nel moralismo, nel dito puntato, con l’aggravante dell’oggettività scientifica dell’esposizione. Rimanendo a questo genere, trovo più onesto certo lavoro giornalistico, che pur presentando gli stessi limiti, almeno non è viziato dalla presunzione di superiorità che spesso trasuda da certi narratori di documentari.
Insomma io la penso come Giovanna Taviani e Daniele Vicari, e considero significative, sotto il profilo politico-sociali, pellicole come Notte prima degli esami o Le fate ignoranti, mentre film all’apparenza decisamente più orientati verso il politico (come Buongiorno, notte o La meglio gioventù ) mi appaiono molto più efficaci se letti sotto un altro versante: il conflitto padre/figlio nel primo, la disgregazione di una famiglia nevrotica nel secondo. Lo stesso discorso vale per la letteratura, la musica o il teatro.
Ci sono poi ovviamente casi fortunati, dove l’efficacia della denuncia non è a detrimento dello spessore umano dei personaggi e della complessità dello sguardo, come nel caso già detto di “Venti sigarette2 che mi riguarderò molto volentieri all’auditorium Sericchi dopodomani
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