In ricordo di Dulbecco
(di Carlo Di Stanislao) – Émile Zola, nel suo saggio del 1880 “Le Roman expérimental”, srive che: “il romanziere come lo scienziato deve essere insieme osservatore e sperimentatore, considera l’arte come una riproduzione oggettiva del reale governata dalle leggi della natura, rivendica l’impegno morale dello scrittore che, mettendo in luce le cause dei fenomeni sociali deve indurre la società stessa a intervenire per modificarli e migliorarli” : ed è stata questa la linea che ha ispirato, interamente, la vita di Renato Dulbecco, scienziato dal volto umano, Nobel per la medicina nel 1975, morto ieri, poco prima dei suoi 98 anni, che avrebbe compiuto domani.
Ci sono due caratteristiche che ogni vero scienziato possiede e se qualcuno si trova a possederle è certo che col tempo diventerà uno scienziato, sempre che non debba già essere definito tale. Primo: la sua anima deve essere completamente dominata dalla passione per la scoperta della verità in un determinato ambito, senza considerare quale sia il colore di questa verità. In secondo luogo deve possedere un dono naturale per il ragionamento, per il pensiero strettamente rigoroso.
Forse un uomo che si fosse abbeverato alla fonte dell’eterna giovinezza non avrebbe bisogno di possedere entrambe queste capacità all’inizio della sua carriera: egli diventerebbe inevitabilmente uno scienziato, perchè alla fine l’incessante azione dell’esperienza produrrebbe in lui queste due capacità. In una certa misura possiamo vedere che questo effetto si è prodotto sull’uomo civilizzato nel suo complesso durante il corso della storia.
E Dulbecco scienziato lo era fin dagli anni giovanili. Nato a Catanzaro, in Calabria, il 22 febbraio del 1914, era figlio di padre ligure, impegnato nel Genio Civile.
Proprio per il lavoro del padre, il giovane Renato si trova fin da ragazzino a dover girare in tutto il Paese, approdando a Cuneo prima, poi a Torino e infine a Imperia, dove frequenta il liceo De Amicis, la spiaggia e un piccolo osservatorio. C
ompie gli studi universitari a Torino in Medicina, benché amasse la fisica e si laurea magna cum laude a 24 anni.
Soldato durante la seconda guerra mondiale, prima in Francia, poi sul Don, diventa poi partigiano e dopo una breve esperienza politica post-bellica nel consiglio comunale di Torino, fa ritorno al suo primo amore: la ricerca, entrando dapprima nel laboratorio di Giuseppe Levi e qui, nel 1947, seguendo Salvador Luria, negli Stati Uniti, assieme a Rita Levi Montalcini.
E da quel periodo che iniziò a studiare alcuni virus capaci di integrarsi nel genoma umano, scoprendo che il virus polioma ha un Dna ridotto ma analogo a quello delle cellule più complesse e che è capace di inserire il proprio Dna nelle cellule sane .
Sono i lavori più importanti di Dulbecco, compiuti a partire dal 1963 in un nuovo istituto fondato da Jonas Salk a La Jolla, studi per i quali, nel 1975 riceve il Nobel (diviso con Baltimore e Temin) per la scoperta dei virus oncogeni.
A partire dal 1985, trascorre lunghi periodi in Italia e lavora a Milano all’Istituto di tecnologie biomediche avanzate del Cnr, contribuendo in modo determinante alla divulgazione del “Progetto Genoma”.
In molti lo ricordano simpaticissimo a San Remo edizione 1999, quando compare nei teleschermi, insieme a Fabio Fazio e Laetitia Casta, per sostenere la ricerca sul cancro.
Nel 2001 aveva pubblicato “La mappa della vita”, in cui riassume, con grande piglio divulgativo, le prospettive aperte dalla genetica.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, appresa con commozione la notizia della scomparsa di Renato Dulbecco, in un messaggio alla famiglia e alla comunita’ scientifica, ha espresso il suo partecipe cordoglio ricordando la “figura di grande rilievo nel panorama della ricerca scientifica mondiale. L’ingegno e la tenacia dei pioneristici studi del professor Dulbecco sulla lotta contro i tumori e sul genoma umano – sottolinea il Capo dello Stato – nel valergli l’alto riconoscimento del Premio Nobel, testimoniano il potenziale di innovazione della ricerca scientifica e costituiscono uno stimolo affinche’ il nostro paese sappia, con coerenza, continuare su questa strada e valorizzare appieno le proprie migliori risorse intellettuali”.
Il prof. Mauro Bologna, Ordinario di Immunologia Generale presso la Facoltà di Scienze Biologiche de L’Aquila, mio caro amico ed allievo di Dulbecco, me lo ha sempre descritto con un uomo semplice e diretto ed una mente aperta al confronto e particolarmente acuta.
Oltre al premio Nobel, lo scienziato italiano è stato insignito della laurea honoris causa in Scienze dall’Università di Yale, era membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia nazionale delle scienze americana e membro straniero della Royal Society inglese.
Ma, soprattutto, era un uomo che credeva negli uomini e nella scienza come capacità di progresso.
Pensanto alla sua lunga, serena, completamente realizzata vita, ci viene in mente Hobbes che ha postulato il toglimento del principio e del fine (la felicità), togliendo, di conseguenza, anche il senso della vita.
Egli infatti sosteneva che la vita non ha senso: la modernità è razionalità; la vita è movimento e la morte è la fine del movimento; la morte è allora il male più grande dal quale perciò vogliamo distinguerci: altro non c’è.
A questo punto entra in gioco la scienza, che si concretizza come volontà di potere contro la natura e contro noi stessi.
Ma non nel caso di cuori veramente umani come quello di Renato Dulbecco.
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