Protesi mammaria e panico
(di Anna Patrignani, medico cardiologo) –
Protesi mammarie PIP: è possibile che interesse economico e mancata competenza in materia medica abbiano generato il panico a livello mondiale?
Negli ultimi mesi i mass media (carta stampata, televisioni, web) si stanno occupando a livello mondiale delle Protesi mammarie PIP (Poly Implant Prostheses). Le modalità con cui è stato affrontato l’argomento hanno generato come “risultato primario” la diffusione del panico a livello mondiale. Ho provato a ricostruire gli eventi in modo semplice ma non semplicistico.
Lo scandalo mediatico inizia a prendere forma negli ultimi mesi del 2011 quando viene diffusa la notizia del “primo decesso” di una donna portatrice di protesi PIP, a distanza di più di un anno dall’incriminazione e chiusura per bancarotta della società PIP. Nel marzo 2010 infatti l’Autorità Competente francese per i dispositivi medici (AFSSAPS) scopre che l’azienda PIP riempiva dal 2001 le protesi con un gel di silicone non autorizzato.
A queste notizie le reazioni dei vari stati a livello europeo e mondiale sono state molto diverse. Descriverei inizialmente cosa è stato fatto nel paese che, secondo me, ha affrontato il problema nel modo più giusto, senza allarmismo, ma in modo critico e competente, il Regno Unito. A marzo 2010 dopo la scoperta dell’ente francese AFSSAPS, l’ente inglese MHRA (Medicine and Helthcare products Regulatory Authority) decide di sospendere l’utilizzo del prodotto. Lo stesso fa anche l’Italia con una circolare del 1 aprile 2010 e altri stati nel mondo. La MHRA dispone poi l’esecuzione di test sul gel di silicone incriminato, mostrando l’assenza di tossicità chimica e l’assenza di genotossicità del gel stesso.
Alla fine del 2011 però si inizia a diffondere in modo rapido ed incontrollato la notizia della prima donna portatrice di una protesi PIP morta per tumore. Si legge sul web italiano: “…una donna è morta per le complicazioni di un linfoma al seno che si era infiammato a contatto con la protesi mammaria…”. Già da questa frase emergono importanti imprecisioni in ambito medico: il linfoma è una malattia tumorale che colpisce le cellule del sistema immunitario e non la ghiandola mammaria; un linfonodo può infiammarsi, non si infiamma la malattia “linfoma”; un materiale non biocompatibile, come un gel di silicone, in caso di fuoriuscita dall’involucro della protesi e a contatto con tessuti umani, può innescare reazioni infiammatorie e adenopatie ai linfonodi ascellari. Nonostante queste enormi imprecisioni il panico inizia a diffondersi. Viene successivamente riconosciuto che la causa del decesso della donna è stata una rara forma di cancro che colpisce le cellule del sistema immunitario, chiamato “anaplastic large cell lymphoma”.
La MHRA anche con la collaborazione di altri organi specializzati nazionali ed internazionali conduce altri test giungendo alla conclusione che non c’erano evidenze per stabilire un’associazione tra quel cancro e la protesi PIP. Come conseguenza la MHRA inglese non ha raccomandato la diffusa rimozione delle protesi mammarie PIP alle 50000 donne interessate nel Regno Unito. Il rischio correlato al “non procedere” alla rimozione è inferiore al rischio della chirurgia di rimozione stessa. Questi rischi poi non sono giustificati in assenza di ulteriori evidenze. Lo stesso atteggiamento ha avuto il nostro Ministero della Salute italiano che alla fine di dicembre aveva affermato che non c’erano le premesse per creare allarmismi sulle protesi mammarie PIP e che non esistevano prove di un legame tra le protesi stesse e l’insorgenza di tumore.
Diverso è stato, sin dall’inizio, l’atteggiamento dell’Autorità francese AFSSAPS. La portavoce del governo, Valerie Pecresse, aveva espresso a dicembre questi concetti: l’urgenza è che tutte le 30000 donne francesi portatrici delle protesi PIP ritornino dal chirurgo; se si tratta di un’urgenza sanitaria e di salute pubblica, la nuova operazione sarà a carico dello Stato; l’obiettivo è di poter effettuare tutte le operazioni nel corso del 2012. La raccomandazione rappresenta una misura precauzionale, per “presunti” rischi correlati alla salute.
Quindi le rassicurazioni di alcuni organi competenti, di alcuni stati, nulla hanno potuto contro la diffusione del panico a livello mondiale, con conseguenze che sono al momento difficilmente prevedibili.
Ma come è nato questo scandalo mediatico? Proviamo a ripercorrere la storia della società PIP e del suo fondatore. La società PIP è stata fondata nel 1991 da Jean Claude Mas, oggi 72 enne, a La Seyne-sur-Mer, nel Sud della Francia. L’azienda diventa presto la numero tre del mondo, nel settore, con 100 mila protesi mammarie prodotte ogni anno. Ad oggi nel mondo il numero di donne portatrici delle protesi PIP va da 400 a 500 mila. Dal 2001 l’azienda inizia ad utilizzare un gel di silicone diverso da quello dichiarato a norma dalle autorità sanitarie. I problemi per la società PIP iniziano però nel marzo 2010 quando l’AFSSAPS scopre l’utilizzo del silicone più economico. La società è stata quindi costretta al fallimento e i prodotti sono stati ritirati dal mercato.
Da questi eventi come si è arrivati a fine 2011 a diffondere notizie del tipo: “Jean-Claude Mas, 72 anni, è ricercato dal Costarica per avere attentato alla “vita” e alla “salute”, nella vicenda delle protesi mammarie francesi”? Come si è arrivati alla diffusione “incontrollata” di notizie? Alla creazione di siti web ad hoc per invitare le donne coinvolte a richiedere “risarcimento danni” e “rimborso sostituzione”, presso “studi legali” con pool di avvocati specializzati in responsabilità medica? Alla diffusione da parte di Società di Chirurgia Estetica di consigli “di sostituzione delle protesi PIP con altre di qualità superiore, indipendentemente dalla tossicità del gel di silicone utilizzato”? Su siti web tutt’altro che medici compaiono titoli dei tipo: Protesi al seno che “scoppiano…”, Protesi “tossiche” al seno…, Le protesi che “uccidono”…., Una ministra… “vittima” del silicone, Il sesso estremo ti fa “esplodere” le protesi etc.
A questo punto è forse lecito chiedersi: ma di fronte ad eventi con un tale impatto sulla salute psico-fisica di migliaia di donne, sui rispettivi figli, compagni, familiari, a livello mondiale, è possibile permettere la diffusione di tali notizie? Senza alcun controllo? Senza preventive verifiche scientifiche? Invito alla lettura di una esemplare lettera scritta da Kent Woods, Chief Executive della MHRA il 24 gennaio 2012 disponibile sul sito della MHRA www.mhra.gov.uk (MHRA letter in response to Lancet articles) in risposta ad articoli di disappunto sulle scelte adottate dal Regno Unito in merito a tale vicenda.
Probabilmente su questo argomento persone con scarsa competenza in materia medica o con un qualche interesse economico hanno diffuso le notizie nel modo che a loro sembrava più vantaggioso, dimenticando quale sofferenza potesse scaturirne a livello mondiale in migliaia di donne, nei loro figli, compagni e familiari.
Vorrei concludere con la speranza che organi competenti nazionali ed internazionali riusciranno a portare presto la giusta chiarezza su questo delicatissimo e diffusissimo problema.
Non c'è ancora nessun commento.