Farla franca in un’Italia di furbi disillusi
(di Carlo Di Stanislao) – Dopo la P3, la P4, l’affare Scajola e quello Penati, è arrivato il caso Lusi ad allargare le critiche al sistema dei partiti, con una delusione degli italiani verso la politica, che tocca il record del 56%.
Quindi, più di un italiano su due la pensa come Cacciari, che su In Onda, sabato pomeriggio, ha detto che il problema è a monte e riguarda il fiume di denaro, con controlli laschi o nulli, che piovono ai partiti, nonostante un referendum disatteso che si era espresso sul finanziamento pubblico dei partiti in modo negativo. L’incredibile flusso di denaro ai partiti (si calcola più di un miliardo di euro negli ultimi dieci anni), è alla base, secondo i più, di atteggiamenti fraudolenti come, ad esempio, è successo per la Lega, che ha investito investite pericolosamente le sue quote in paradisi fiscali.
Trattandosi di soldi pubblici lo stupore e l’indignazione sono comprensibili, specie in un periodo in cui tutti sono chiamati a fare sacrifici.
Come scrive Renato Mannheimer su La Stampa, i sondaggi attuali dimostrano che l’italiano medio non si non si limita a desiderare solo una riallocazione o un mutamento di facciata delle forze politiche che oggi conosciamo; ma richiede, invece, una vera e profonda revisione nei comportamenti e negli atteggiamenti verso lo Stato e i cittadini.
Pena l’ulteriore crescita della disaffezione dalla politica e della astensione potenziale che, come si sa, oggi coinvolge addirittura quasi metà degli elettori.
In questo clima esce il libro edito da Longanesi “Farla Franca”, scritto dal magistrato del pool di “Mani Pulite” Gerardo Colombo, con il giornalista Franco Marzoli, in cui, a venti anni dalle indagini che portarono alla luce un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti ai livelli più alti, ci dice che nulla è davvero cambiato, anzi.
Allora, furono coinvolti ministri, deputati, senatori, imprenditori, perfino ex presidenti del Consiglio e i reati scoperti dalle inchieste condotte da un pool della procura della Repubblica di Milano suscitarono una grande indignazione nell’opinione pubblica e di fatto rivoluzionarono la scena politica italiana.
Partiti storici come la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano, il Psdi, il Pli sparirono o furono fortemente ridimensionati. Ma oggi, le cose, sono forse addirittura peggiori.
Sullo sfondo del racconto, basato sui retroscena delle indagini di Mani pulite e P2, sottolineandone effetti, limiti e aspettative mancate, l’incapacità italiana di far rispettare l’articolo 3 della Costituzione, che vuole tutti i cittadini uguali di fronte alla legge, per cui, da Noi, ancora oggi, per alcuni “farla franca” è ancora davvero molto facile.
Come già nel precedente “il peso della libertà”, Gerardo Colombo ci costringe a ripensare, come fa Fëdor Dpstoevskij ne nei “Fratelli Karamazov, a “Il grande inquisitore”, che non può cambiare mentalità, in quanto privo di intimo e probo senso di libertà.
Le sorti della politica italiana sembrano passare molto spesso, di recente almeno, attraverso la figura del “Grande Inquisitore.
L’anno prima di Gerardo Colombo, cioè nel 2009, era stato Gustavo Zagrebelsky a dedicarvi un suo saggio. Poi, lo scorso anno, Franco Cassano, con L’umiltà del male, parte proprio da lì, dall’enigma posto dal discorso del “Grande Inquisitor per ovesciare subito il piano della riflessione, smontando la semplicistica distinzione manichea fra bene e male.
Nel suo libro, nella Siviglia del Cinquecento, l’Inquisitore fa arrestare Cristo, appena tornato sulla terra e si reca a far visita al prigioniero.
In realtà, il suo è un lungo monologo, in cui rinfaccia al Nazareno che la sua perfezione non è in grado di cogliere e addirittura sobillare la debolezza dell’animo umano.
Il suo rigore è per i santi, non per l’imperfezione del mondo.
Il potere temporale, al contrario, è divenuto tale proprio perché ha permesso a tutti di peccare.
Un ragionamento certo pericoloso, che ricorda la superba prova di Dustin Offman in “Giovanna d’Arco” di Luc Besson, ma anche un salvifico paradosso, per chi vuole operare per l’emancipazione dei più rifiutando quel “narcisismo etico” che vede come necessario, per chi voglia evitare che molti cadano nel baratro, bearsi della propria diversità, insistendo con la retorica delle minoranze pure e incontaminate e, così facendo, facendosi casta, proprio nel momento in cui ci si dovrebbe opporre alle Caste vere .
Discorso che ben si adatta, ad esempio, alla attuale sinistra italiana, che ignora e vuole ignorare i motivi che provengono da autori che cita, ma che non conosce: da Dostoevskij a Primo Levi, da Adorno a Horkheimer e continua a non voler smantellare quelle rendite di potere su cui si basano anche i suoi partiti, senza alcun reale confronto con le ansie e le paure della attuale società.
Una sinistra che non ha mai saputo comprendere che “l’avversario” non è né solo Bossi, né solo Berlusconi, anche se sono stati grandi interpreti della “zona grigia” italiana.
E neanche, andando indietro nel tempo, quell’avversario può essere l’Andreotti ritratto da Sorrentino.
Il suo volto di oggi può essere e intravisto nelle enormi concentrazioni di potere economico e nei mezzi di comunicazione di cui spesso si dispone, ma anche in una amministrazione dei soldi pubblici priva di ogni regola e disciplina.
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