Il rischio turistico nel mondo


(di Carlo Di Stanislao) – Secondo il governo di Addis Abeba, tra i cinque turisti (quattro europei e un australiano) uccisi l’altro ieri in Etiopia, nella regione di Afar da un gruppo di uomini armati giunti dall’Eritrea, vi è anche un italiano. L’attacco e’ avvenuto lunedi’ sera nei pressi del vulcano Erta Ale e pare che due turisti, un tedesco ed un austriaco, siano stati uccisi subito, gli altri in un secondo momento. I
l gruppo era costituito da 22 turisti di varie nazionalità e, per il momento, non è nota l’identità dell’italiano ucciso.
Il governo di Addis Abeba accusa apertamente Asmara. “Il gruppo di turisti stranieri è stato attaccato da un gruppo di uomini addestrati e armati dal governo Eritreo – ha detto sul sito di Sky news, Bereket Simon, portavoce del governo etiope – si tratta della tipica attività terroristica messa in atto dal regime eritreo. La regione di Afar è considerata uno dei “feudi” di alcuni gruppi di ribelli separatisti etiopici e eritrei e nel 2007 cinque europei (tra cui un’italo-britannica) e otto etiopi furono rapiti nel nord-est dell’Etiopia da un gruppo ribelle Afar, per poi essere rilasciati al confine eritreo.
Di contro l’Eritrea ha negato ogni coinvolgimento nell’attacco, affermando che il Paese “non ha mai sostenuto e non sosterrà mai questo genere di fatti.
Il conflitto tra Etiopia ed Eritrea (1998-2000,) scaturito dalla disputa confinaria e la firma di un accordo di pace ad Algeri (2000), per il quale sussistono tuttora dubbi sulla sua effettività, soprattutto in relazione ad ulteriori fattori di criticità sopravvenuti nei due Paesi, sembra aver vanificato la cooperazione posta in atto, per il rovesciamento della dittatura di Menghistu, come pure i recenti avvenimenti di politica interna, che sembravano accordare ulteriori spazi di manovra alle reciproche opposizioni interne, il tutto a danno della stabilizzazione e dello sviluppo dei due Paesi.
La guerra di confine ha causato, in due anni, 80.000 morti e le tensioni sono aumentate l’anno scorso, quando un rapporto delle Nazioni unite ha rivelato che l’Eritrea stesse complottando un attacco durante un summit dell’Unione africana in Etiopia.
In Etiopia le elezioni politiche del 23 maggio 2010 si sono svolte ordinatamente e non hanno fatto registrare gli episodi di violenza ed i disordini che avevano caratterizzato la precedente tornata elettorale del 2005.
Tuttavia, a causa della presenza nel Paese di gruppi armati antigovernativi, tensioni transfrontaliere ed interetniche in alcune regioni, permangono rischi di sicurezza soprattutto per quanto riguarda le aree di confine e la “Somali Region”.
ll rischio di attentati di matrice terroristica, anche in considerazione della possibile infiltrazione di estremisti dalla vicina Somalia, rimane elevato anche nella capitale Addis Abeba.
Recentemente si sono avute notizie di ulteriori tensioni nelle comunita’ rurali della regione di Gambella.

A partire dal 29 luglio 2010 le Autorità etiopi hanno rafforzato le misure di sicurezza nella capitale, aumentando i controlli sugli autoveicoli e sul flusso di persone in entrata nei luoghi di maggior profilo, inclusi i grandi alberghi internazionali.
L’attuale Governo eritreo è espressione del Partito unico, il “Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia” (FPDG), che deriva dal FPLE ed è presieduto da Isaias Afeworki, leader del FPLE dal 1987.
La Costituzione elaborata da una apposita Commissione dopo il 1993 e ratificata nel 1997, non è mai entrata in vigore, poiché le elezioni parlamentari previste per il dicembre 2001 non hanno avuto luogo.

Il Paese attualmente è governato con criteri autoritari e non esiste alcun tipo di opposizione se non formale.
Il governo accusa Sudan, Etiopia e Yemen di appoggiare gruppi dissidenti con l’intento di destabilizzare il Paese, in particolare il “Movimento Eritreo della Jihad Islamica”.

Metà degli abitanti dell’Eritrea deve la sua sopravvivenza agli aiuti alimentari che il regime di Afeworki limita sistematicamente, giustificando tale scelta con la necessità di salvaguardare l’integrità e l’indipendenza della “patria”, minacciata da ingerenze esterne. Questa situazione, aggravatasi a causa della siccità che ha già colpito 2,5 milioni di persone in tutto il Corno d’Africa e che ha messo in stato di allerta le maggiori Organizzazioni che si occupano di assistenza umanitaria (l’UNICEF, la WHO e la Croce Rossa Internazionale), contrasta con l’imponente militarizzazione del Paese.
Lo scorso 16 gennaio, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha dichiarato inconsistenti le accuse nei confronti dell’Eritrea di aver fornito armi ai militanti di al Shabaab in Somalia, come sostenuto dalle forze di difesa del Kenya.
Il 12 gennaio, inoltre, don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia, per la cooperazione allo sviluppo, ha rivolto un appello alle autorità per denunciare la sorte delle centinaia di immigrati che finiscono nelle mani delle bande del deserto e prevenire rapimenti e torture in Etiopia e Sudan.
Secondo l’appello: “centinaia di profughi eritrei ancora oggi sono nelle mani dei predoni nel Sinai”. Il sacerdote informa di aver ricevuto l’ultima richiesta di aiuto lo scorso 12 gennaio 2012, “da una donna che si trova prigioniera dei trafficanti, insieme con lei ci sono altre 20 donne di cui 5 sono con figli quindi ci sono 6 bambini e 12 maschi adulti, gli uomini sono bendati e legati con catene mani e piedi, le donne in catene solo ai piedi”.
Nell’appello si legge che “la donna che ha chiamato per chiedere aiuto, parla dei continui maltrattamenti, privazione di cibo, e violenze. Altri gruppi di ostaggi parlano di abusi sessuali sulle donne, ma ci sono stati anche diversi casi di abusi sessuali anche su ragazzi maschi. Le diverse metodologie di torture utilizzate vanno dalle scariche elettriche a quelle di bruciature con plastica fusa, sigarette o ferro arroventato. Le minacce dei trafficanti a chi non paga somme fino a 30.000 dollari restano quello della vendita degli organi che rappresenta un mercato fiorente in quella regione come è stato già dimostrato ampiamente anche da mezzi di comunicazione di massa”.
Nell’appello si chiede che “la Comunità europea in collaborazione con Unità Africana, in particolare gli Stati interessati da questo fenomeno, come Israele, Egitto, Sudan, Eritrea ed Etiopia può fare una forte azione di prevenzione, che altre migliaia di profughi disperati non finiscano nelle mani dei trafficanti di esseri umani o di organi”. Una delle azioni più urgenti, secondo don Zerai è “chiedere una lotta preventiva contro il traffico di organi e di esseri umani, con una campagna informativa verso i profughi in Sudan e in Etiopia, una azione della polizia internazionale per distruggere la rete dei trafficanti di esseri umani e di organi e le sue ramificazione in buona parte del Nord Africa, Medio Oriente ed Europa”.
Lo scorso 8 gennaio, il Gruppo Everyone, insieme ad altre ong internazionali per i diritti dei profughi, ha trasmesso un appello urgente agli Alti Commissari delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e i Rifugiati, allo Special Rapporteur Onu, sul traffico di esseri umani, al Commissario europeo per i diritti umani e alle autorità della Repubblica dell’Egitto. Questo dopo che 44 profughi eritrei erano stati stati rapiti nel sud del Sinai (Egitto).
Nutrita e molto attiva, infine, la comunità eritrea in Abruzzo, che, in questi giorni, con il Servizio Promozione Culturale e l’Agenzia per la Promozione Culturale della Regione Abruzzo, organizza una serie di quattro eventi (nei giorni 21 e 28 gennaio, 4 e 11 febbraio), nella sede della Promozione Culturale, in via Salaria Antica Est, 27 a L’Aquila, con inizio alle 16,30, dedicata a temi diversi: dal viaggio fantastico attraverso altri paesi del mondo, al laboratorio di costruzione di strumenti musicali, alla costruzione di maschere tradizionali.
Dopo i tragici fatti etiopici e il naufragio del Concordia si è tornati a parlare dei rischi di un turismo in qualche modo pericoloso e della necessità di più ferree norme comportamentali.
Se da una parte il ministro Clini parla del rischio inerente l’uso di grandi navi come fossero vaporetti, bisognerà rivedere anche le regole di sicurezza inerenti vari paesi africani e del mondo.
Inoltre, oltre alle località dove impazzano guerre, tensioni politiche o civili ed anche eruzioni vulcaniche, terremoti e alte concentrazioni di inquinamento nell’acqua dei fiumi, ve ne sono altre con regimi igienico-sanitari ad altissimo rischio, come, ad esempio il Burundi e il Senegal.
Rischi poi per microcriminalità diffusa vi sono in ampie aree, del Sudafrica, del Kenia e dell’America Latina, dove i crimini violenti uccidono più persone della crisi economica e dell’ AIDS.

La maggior parte delle vittime sono abitanti delle baraccopoli, ma la percezione del pericolo ancora ostacola il turismo e gli investimenti.
Alcuni studi suggeriscono che il reddito dell’America Latina “potrebbe essere superiore al 25% se il suo tasso di criminalità, che ha avuto inizio impennata negli anni 1980, era simile al resto del mondo.
L’AIDS, al contrario, è rimasto in gran parte sotto controllo, con prevalenza l’ HIV sotto l’1% nella maggior parte dei paesi.
Naturalmente, anche in questo caso, vi sono eccezioni.
Alcuni paesi, come la Costa Rica, sono relativamente intatti dalla violenza e in Colombia,città come Bogotá e Medellín, hanno goduto di una reale rinascita, che ha praticamente annullato il rischio criminalità .


18 Gennaio 2012

Categoria : Turismo
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