7° Richter, terremoto annunciato dalla natura anche 97 anni fa in Marsica
L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – Anche quello (ricordato e commemorato oggi ad Avezzano e Celano) di 97 anni orsono fu un terremoto annunciato, accompagnato da fenomeni che, dati i tempi, erano attribuiti più alla magia e alla fantasia, che alla realtà . Il terremoto della Marsica causò circa 30.000 morti, distribuzioni immense, terrore in mezza Italia (a Roma vi furono crolli e danni al colonnato di piazza San Pietro), con la sua violenza senza molti precedenti: 7 Richter di magnitudine momento (e non locale), decine di volte più violento di quello aquilano del 2009, che fece registrare 6,3 di magnitudine momento, o 5,8 di magnitudine locale. La magnitudine momento (mw) è una misura diversa dalla magnitudine locale, ma esprime il medesimo valore. Usando la scala Mercalli, allora più conosciuta, si ebbero scosse fino all’XI-XII grado
Epicentro del terribile sisma (ch esplose poco prima delle 8 del mattino del 13 gennaio 1915) fu una faglia presso Ortucchio: una delle numerose che solcano il territorio marsicano sia nel versante di Trasacco che in quello di Celano. Le devastazioni riguardano decine di comuni oltre ad Avezzano (che perse oltre 9.000 dei suoi 11.000 abitanti di allora) fino al territorio di Sora. La scossa più forte si percepì in tutta l’Italia centrale, dalla Romagna alla Basilicata, fino al VI-VII grado Mercalli.
Anche a L’Aquila e nell’Aquilano vi furono danni e paura. Per molto tempo migliaia di persone vissero in baracca. Alcuni degli edifici costruiti per gli sfollati esistono ancora nella Marsica e in Valle Roveto.
Il dopo sisma rivelò veri sconvolgimenti del paesaggio: voragini, sprofondamenti, allavvallamenti e sollevamenti del terreno, bordi di faglie allo scoperto con dislivelli fino a 80 centimetri, pozze d’acqua, frane, crolli sulle montagne. Ma, guardando le cose con l’occhio più attento di oggi, ci sono da ricordare anche gli “annunci” prima del terremoto. Bolle di fas, fiammate dal sottosuolo, acque sotterranee molto calde, odore di zolfo, vulcanelli di fango caldo apertisi in campagna. brontolii profondi, e naturalmente fremiti e scosse precedenti quella maggiore. Uno sciame che portò al disastro, come talvolta avviene.
Qualche cronista parla anche dei lampi sismici e del cielo arrossato da foschia rossastra. per non parlare del nervosismo degli animali all’alba del 13 gennaio. Forse, si ebbero anche perturbazioni elettriche e magnetiche, ma mancano documenti.
Oggi quei fenomeni, documentati anche in un libro di Errico Centofanti sul terremoto aquilano del 1703, possono essere interpretati (ma non tutti gli scienziati condividono, naturalmente) come sintomi precursosi. Centofanti racconta di laghetti di acqua solfurea comparsi nei dintorni dell’Aquila, ritratti anche in alcuni disegni dell’epoca. Oggi in molti parlano di risalita dell’acqua nei pozzi, oltre che di acque calde nel sottosuolo.
Sono gli aspetti del terremoto di Avezzano di cui non si ama parlare, e che invece dovrebbero essere studiati con attenzione, per quel che è possibile 97 anni dopo.
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