Se il “vaffa” arriva dagli allevatori
Il 17 gennaio, per la festa di S.Antonio, da Ofena si leverà un potente, corale “vaffa” all’Europa, alla sua moneta euro, alla politica così come gestita fino ad oggi, a tutti coloro che nelle segrete stanze hanno sottoscritto la condanna a morte dell’agricoltura. Il vaffa di Ofena, organizzato da quel geniale Masaniello che è Dino Rossi del Cospa, segna il tempo del ventunesimo secolo in quel mondo succube e rassegnato dei contadini, dei pecorai, dei vaccari, dei piccoli coltivatori che danno corpo alla nostra esangue e stentata agricoltura di montagna. Gente buona e laboriosa, abituata a privazioni e sudditanze nei confronti della politica cattiva maestra, in nome di scudi crociati e bandiere bianche. Per decenni, il mondo agricolo ha fatto da serbatoio per il potere, e avrebbe anche fatto bene, se ne avesse tratto benefici e rendite. Invece, oggi è morente, dissipato, sull’orlo di una crisi di nervi e di finanze. L’agricoltura, come è da quando ricordiamo (tanto tempo), è un’attività faticosa, non remunerata, vilipesa, umiliante. Basti pensare ai centesimi che si pagano ai contadini e ai soldoni che costano i loro prodotti sul mercato: un’offesa permanente, una piaga che nessuno sa curare, e che oggi euro ed Europa lasciano incancrenire.
E allora c’è il vaffa, che si leverà baritonale e perentorio da Ofena. Una piccola Parigi del secono XXI, dalla quale potrà partire una rivoluzione culturale. Che la politica lo voglia o non lo voglia. Se necessario, c’è sempre in armadio una sacrosanta ghigliottina. Basterà oliarla e affilarla.
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