‘Ndrangheta, Biasini incontra difensori
L’Aquila – E’ durato a lungo presso il carcere “Castrogno” di Teramo, il colloquio tra gli avvocati Attilio Cecchini e Vincenzo Salvi ed il loro assistito, l’aquilano Stefano Biasini di 34 anni, finito in manette ieri insieme ad altre tre persone (tutte di Reggio Calabria) con l’accusa di aver assicurato le basi logistiche e societarie per l’ingresso nei milionari appalti privati della ricostruzione post-terremoto, quelli senza gara e senza l’obbligo dei certificati antimafia, di aziende vicine alla ‘ndrangheta. L’accusa per tutti e’ di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso. Polizia e guardia di finanza che hanno lavorato congiuntamente alle indagini hanno messo le manette ai polsi di imprenditori (tra cui Biasini) legati alla cosca Caridi-Zincato-Borghetto: tra loro anche Antonino Vincenzo Valenti (45), nato e residente a Reggio Calabria, il fratello Massimo Maria Valenti (38), nato a Reggio Calabria e residente all’Aquila, e Francesco Ielo (58), nato a Reggio Calabria e residente ad Albenga (Savona). All’uscita dal carcere i due legali hanno parlato di come fosse attonito il proprio cliente per l’arresto in considerazione anche delle dichiarazioni rese dallo stesso un anno fa, nell’ambito di una analoga operazione che aveva portato all’arresto del socio in affari, Carmelo Gattuso finito in manette su ordine di custodia cautelare in carcere emesso dalla Dda di Reggio Calabria perche’ “vicino” alla stessa cosca mafiosa. Indagine sempre secondo i due avvocati che aveva portato Biasini “a rompere i ponti” con il socio e gli amici di questo in affari. “Stando alle ipotesi formulate dalla Procura dell’Aquila – hanno detto i due avocati – il detenuto ritiene che l’unica spiegazione possibile sia quella di essere stato strumentalizzato da personaggi che abbiano potuto fare il doppio gioco sulla sua pelle. Anche noi avvocati – hanno aggiunto – riteniamo che l’azione penale sia il risultato di una lettura unilaterale che non ha tenuto conto della posizione dell’indagato e del suo ruolo di giovane imprenditore, obiettivo e preda di disegni criminali del tutto estranei alla sua formazione culturale e alla sua etica familiare.” L’operazione denominata “Lypas”, dal nome da una delle aziende di costruzione in odore di ‘ndrangheta, ha portato al sequestro delle quote di quattro societa’, di otto automezzi, cinque immobili, 25 rapporti bancari, riconducibili agli indagati e alle attivita’ commerciali a loro facenti capo. Il valore complessivo e’ di oltre un milione di euro. Le indagini sono partite due anni fa, poi sono state rafforzate dalla operazione “Alta Tensione” della Procura di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di numerose persone, tra cui il boss Santo Giovanni Caridi, sul conto del quale tra l’altro sono emersi collegamenti con societa’ aquilane impegnate nella ricostruzione. Riguardo la vicenda odierna, e’ emerso che il commercialista del boss aveva acquistato il 50% della societa’ di costruzioni “Tesi srl”, di proprieta’ di uno dei quattro arrestati, Stefano Biasini. Sempre secondo l’accusa, Caridi si sarebbe inserito nella ricostruzione attraverso Biasini, con la mediazione degli altre tre arrestati. Gli appalti ai quali le societa’ in odore di ‘ndrangheta avevano partecipato sono due, con un fatturato complessivo di circa 200 mila euro perche’ relativi a case con danni lievi. Erano in trattative, secondo quanto si e’appreso, per un’altra quindicina di commesse sempre nella ricostruzione, questa volta di valore piu’ alto perche’ legato alle case piu’ danneggiate dal sisma, quella classificate E.
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