Toyo mon amour, è sempre dibattito
Pescara – (di Cristina Mosca) – Domenica 4 dicembre 2011 – Una ferita aperta, una cicatrice che non si rimargina, un dente infetto su cui la lingua batte. La fontana di Toyo Ito, lo Huge Wine Glass che si incrinò in quel febbraio 2009, a tre mesi appena dalla sua inaugurazione, troneggia ancora in un angolo di piazza Salotto a simboleggiare il fallimento non tanto di una scelta quanto forse di un’intera epoca. Incerottata, e pudicamente nascosta da un cartonato che illustra le opere pubbliche di cui si sta occupando l’attuale amministrazione comunale, la fontana resta sotto gli occhi di tutti e quotidianamente suscita riflessioni, opinioni e commenti da parte di passanti, architetti, designer e urbanisti. Soprattutto in periodi come questi, in cui, come apprendiamo dal Centro di oggi, “la Sovrintendenza ai beni architettonici ha bocciato il progetto dell’amministrazione comunale per realizzare, con una spesa di 1,1 milioni di euro, la nuova piazza Salotto. Il motivo? Non vorrebbe rispettato il vuoto urbano previsto da Piccinato, l’architetto che progettò per primo la piazza. In pratica, il progetto dell’ente, con la fontana al posto del parallelepipedo rotto di Toyo Ito, modificherebbe la centralità dell’area”.
In questa ferita aperta creativi e artisti contemporanei si dilettano a mettere il dito, ma lo fanno con ironia e originalità disarmanti. Lo abbiamo visto ieri, sabato 3 dicembre, nello spazio Pep Marchegiani di Pescara nella mostra “Toyo mon amour (Encore), una versione ampliata della prima, omonima mostra-provocazione collettiva ideata dal graphic designer lancianese Luca Di Francescantonio per il portale creativo di Guglielmo Maio Evinconcept.com e proposta lo scorso gennaio nel locale di Patriarca Store, sempre a Pescara. All’interno della mostra-evento è stato organizzato, come la prima volta, un dibattito dal tema “La Creatività in Abruzzo: è e sarà Contemporanea?”. Alla tavola rotonda, brillantemente condotta dal ricercatore in economia culturale presso l’università “d’Annunzio” Alessandro Crociata, hanno contribuito i presidenti degli ordini degli architetti di Pescara e Teramo Massimo Palladini e Giustino Vallese, il critico d’arte Antonio Zimarino, il docente della Facoltà di Architettura Andrea Mammarella e Paola Marchegiani, che è stata assessore alla cultura per quei nove mesi della seconda giunta D’Alfonso che si sono conclusi proprio il giorno dell’inaugurazione del calice.
Come ha spiegato l’ideatore Luca Di Francescantonio, «”Toyo mon amour” vuole essere un motivo per dare spazio alla riflessione sulla creatività e sull’odierna concezione di contemporaneità». Concezione che compromessi sembra non conoscerne: all’arte contemporanea pare si debba essere pro oppure contro, e Vallese ne ha spiegato anche il perché: «Avverto nell’architettura e nell’arte un’involuzione: da una parte si assiste ad una sopravvalutazione di opere che in realtà sono eccessivamente commerciali, e dall’altra c’è un’eccessiva ermetizzazione del linguaggio artistico, che per di più sta accentuando l’uscita degli addetti ai lavori dal circuito.
In Abruzzo si parla molto poco di queste tematiche: bisogna avere il coraggio di uscire fuori dai musei: questa è la public art». Dal punto di vista del critico d’arte Antonio Zimarino, «il contemporaneo è il luogo della possibilità: l’artista non fa altro che erodere il non senso e trasformarlo in qualche dato culturale condiviso. È l’unica opportunità di ripensare il nostro futuro, e Pescara ha questa vocazione».
D’altro canto, come ha commentato la Marchegiani, «il rischio è quello di cadere nella trappola del gusto conservatore. Basta con la pietra di Carrara, con la “cascellizzazione” della città. La ferita del calice, dannosa per la mia amministrazione, ha fatto più male di tutto quello che è avvenuto. Per risollevare le sorti dell’arte contemporanea nella nostra regione, penso al ruolo delle Fondazioni, affinché le iniziative come quelle di oggi abbiano una forza maggiore. Incontri come questo dimostrano che c’è fervore creativo».
Massimo Palladini ha posto l’accento sullo scarso dialogo tra il territorio e chi lo governa: «Se mai ha avuto un carattere collettivo, la produzione artistica non è quasi mai stata in linea con le istituzioni – ricorda – Il caso di piazza Salotto è significativo: la piazza custodisce il tratto identitario della nostra urbanità. Con Toyo Ito si è letto il limite di non vedere le eccellenze locali: questa è stata una delle ragioni del fallimento. I nostri creativi partono da questa iniziativa per occupare di nuovo la città. Le istituzioni dovrebbero metterli in condizione di partecipare a processi decisionali, affinché si progetti l’arte contemporanea come un fatto condiviso, un intervento di massa». Un plauso particolare all’ironia delle opere in mostra (pubblicate su enviconcept.com) è stato rivolto dall’architetto Andrea Mammarella, che ha concluso: «L’arte contemporanea, oggi, abbraccia la poetica del nulla, non vuole dire niente, questo non significa neutralità. A cosa porterà, non è dato saperlo. Se pensiamo alla poetica di Toyo Ito, alla sua ricerca della forma-non forma, l’implosione del calice ha aggiunto un grande valore alla sua o
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