Cinema – Essere o non essere Shakespeare
(di Carlo Di Stanislao) – Chi ha scritto realmente le opere attribuite a William Shakespeare? Anonymous, film di Roland Emmerich con Rhys Ifans, Vanessa Redgrave, Sebastian Armesto, Rafe Spall, David Thewlisoffre, offre una possibile risposta, concentrandosi su un momento in cui gli scandalosi intrighi politici e le illecite storie d’amore alla Corte Reale vengono portati alla luce nel luogo più inaspettato: il teatro di Londra. Edward de Vere, conte di Oxford, era un poeta e un drammaturgo affermato alla corte della regina Elisabetta nel XVI secolo. Alcune teorie letterarie del XX secolo ritengono che sia lui in realtà l’autore dei lavori attribuiti a Shakespeare. Secondo l’autorevole studioso di Shakespeare James Shapiro, in una intervista recente, il regista germano-statunitense Roland Emmerich con questo film ha avuto il terribile ardire di rielaborare una teoria vecchia di 90 anni, formulata per la prima volta da J. Thomas Looney nel 1920 nel libro Shakespeare identified e lo ha fatto in modo poco convincente. In verità De Vere, Conte di Oxford, su modestissimo poeta, patrocinatore di scrittori e teatri, ma non certo dotato del talento delle opere in goico. Sulla genialità di Shakespeare non si discute. Ma si è discusso, e si continua a discutere, su chi fosse realmente William Shakespeare, al punto che presso la Brunel University di Londra si sono istituiti corsi in proposito. Gli Stratfordiani (quelli che propongono William Shagsper di Stratford come il produttore di tutte le opere di William Shakespeare) affermano che la polemica sulla vera identità di Shakespeare sia un fatto recente, dettato più dalla disinformazione che da altro. Gli scritti di Thomas Nashe, però, dimostrano il contrario. Thomas Nashe infatti, drammaturgo contemporaneo di Shakespeare, nei suoi scritti rivela che c’era una polemica in corso a quei tempi (tra Nashe e Florio) dove il tema centrale, secondo la ricercatrice Giulia Harding, era proprio Shakespeare. Questa polemica imbastita da Nashe contro John Florio pone seri dubbi sulla versione stratfordiana della identità di Shakespeare. Quindi la discussione sulla vera identità di Shakespeare non è cominciata, come sostengono gli Stratfordiani, in tempi recenti ma era già stata sollevata da Nashe nel 1589, cioè prima ancora che Shakespeare facesse la sua comparsa (come nome, perché come autore era già attivo da tempo) firmando il poema Venere e Adone nel 1593. Ciò che è certo è che Roland Emmerich, che finora ha divorato i botteghini con i suoi blockbuster fanta-catastrofici, da Independence Day a The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo fino a 2012, esordisce nel period drama, con un film un film che nasce da una sceneggiatura scritta, ormai un decennio fa, da quel John Orloff che fu anche autore dello script di una serie acclamata, e premiata, come Band of Brothers (così bravo che il cinefilo “Peppuccio” Tornatore, da il suo nome allo scrittore protagonista di “Una pura formalita”), una sceneggiatura nel suo complesso ben orchestrata, che prende anima, nel film, nella sovrapposizione dei piani temporali, con una strutturazione credibile in un lungo racconto narrato, a teatro, dall’attore shakespeariano Derek Jacobi (tra i portavoce degli scettici sulla paternità delle opere del Bardo), che si rivela in effetti un elemento interessante e riuscito, con una narrazione che copre con disinvoltura oltre un ventennio di storia. Lo spettatore resta inizialmente disorientato dalla varietà dei personaggi presentati e dalla complessità, un po’ ostica da assimilare, delle loro relazioni, frutto di una rete di interdipendenze politiche e personali che si fa via via più intricata: tuttavia, la sceneggiatura gestisce bene questa matassa di vicende che mescolano amori, affetti, brame di potere e politica e che portano a una conclusione che ha, essa stessa, l’aspetto di una tragedia shakespeariana. Ma, abituato com’è a stordire lo spettatore grazie alla strabordanza degli effetti speciali, a servirsi di una messa in scena tanto roboante e caotica da saturare i sensi e rendere superfluo il lavoro di regia in senso stretto, come quello di direzione degli attori, il regista mostra i suoi vistosi quando si tratta di gestire il ritmo narrativo e di tenere alta la tensione, in un’opera in cui la scrittura e la recitazione hanno un ruolo preponderante. Sono comunque apprezzabili le scelte di casting, che vedono coppie di attori efficaci, e col giusto livello di affinità, a impersonare i vari personaggi nei due distinti periodi in cui la storia si svolge: Rhys Ifans e Jamie Campbell Bower nei panni del Conte, una sempre brava Vanessa Redgrave contrapposta a Joely Richardson in quelli di Elisabetta. Una menzione la merita anche l’ottimo David Thewlis (già visto nella saga di Harry Potter) in un ruolo sgradevole come quello del consigliere della regina William Cecil. E’ soprattutto la Redgrave, settant’anni lo scorso 23 novembre, quasi cinquant’anni di carriera, legata, divisa e poi tornata col nostro Franco Nero, con il quale è stata festeggiatai a Roma domenica 20 novembre, in una serata di gala nel corso della quale il Roma Film Festival a consegnato un premio alla carriera dell’attore italiano; ad essere sorprendente. Erede di una grandissima dinastia di attori, la Redgrave ha esordito al cinema nel 1958, accanto al padre, in Behind the Mask di Brian Desmond Hurst e dopo il premiato Un uomo per tutte le stagioni (1966), dove recita con Orson Welles, viene scelta da Michelangelo Antonioni per il capolavoro Blow-up(1966), onorata dalla Regina d’Inghilterra con l’ordine di Comandante dell’Impero Britannico per il servizio reso alla recitazione. Le sue ultime fatiche sono i accanto a Peter O’Toole in Venus (2006) e all’accoppiata Streep-Close in Evening (2007). Sempre lo stesso anno ha recitato re nel toccante e drammatico Espiazione, diretta da Joe Wright e dopo la partecipazione al cast all women di Un amore senza tempo, è tornata in Italia per affiancare Franco Nero e Amanda Seyfried nel sentimentale Letters to Juliet. Anche in Anonymus, enigmatica e ì lontana dal modello hollywoodiano, riesce a recitare anche senza parlare, con sguardi eccentrici e classici, merito di un bagaglio culturale che fa della sua rabbia e della sua sensibilità la “classe di un’attrice e di una donna”, come disse di lei Lorence Olivier. Tornando al film e alla questione shakespeariana, lascia ancora aperta la contesa su chi fosse veramente Shakespeare, se De Vere o Francis Bacon o Marlowe o il Conte di Essex e suo cugino, il Conte di Southampton o altro ancora. Ad esempio un geniale compagno di teatro, coevo di Will di Will di Stratford, un certo Florio, che con Will visse sempre in contatto. Ma di questo, forse, si parlerà in un futuro film.
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